Da quando il femminismo si è inserito nello spessore del tessuto sociale delle moderne società industriali, si è sviluppato un dibattito: i desideri dell’uomo e della donna sono commensurabili? Sono simili, analoghi, oppure specifici, differenti? Se è necessario, fin dove occorre spingere il diritto alla differenza? Il confronto è irrimediabile? Se c’è specificità, è un ostacolo alla ricerca dell’uguaglianza dei diritti? Non c’è forse una pura e semplice lotta per il potere senz’altra via d’uscita se non il rapporto di forza?
Le donne pregano gli uomini di risparmiarsi le elucubrazioni sull’Altro sesso, le sue pompe e i suoi misteri. Preferiscono parlarne loro stesse, considerarsi il secondo sesso piuttosto che l’Altro. L’uomo non è decisamente troppo centrato sul proprio sesso e sul potere del patriarcato per intendere qualcosa dell’evoluzione del mondo? La nuova spartizione del potere con le donne, ovunque presenti, non obbliga forse a radicalizzare le scelte: o la separazione o l’identità all’orizzonte di una complementarietà sperata? Tutto questo può essere formulato nei termini seguenti: “la donna è l’avvenire dell’uomo” oppure “l’Uno è l’Altro”. La psicoanalisi che cosa potrebbe aggiungervi? Essa enuncia semplicemente che l’uomo e la donna stanno dalla stessa parte, separati dall’Altro godimento. In comune hanno un solo tipo di godimento, il godimento fallico. Quanto all’Altro, vi hanno un accesso differente che li divide senza scampo in due specie. Proprio questo fa da ostacolo al fatto che la dimensione culturale del gender corrisponda totalmente alla sessuazione.