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LP70 - Lacan l'italiano vol. II

La Psicoanalisi n. 70 – Lacan l’italiano Vol. II

69 luglio-dicembre 2021
Nota editoriale

L’invito di Jacques-Alain Miller di mettere in cantiere un numero della rivista su Lacan l’Italiano ha avuto un così ampio riscontro tra i Colleghi che abbiamo dovuto raddoppiarlo. Non ne abbiamo fatto un numero doppio, ma due numeri: questo è il secondo, sebbene nemmeno con questo numero si esaurisca la panoplia di autori, opere, monumenti italiani a cui Lacan fa, qui o là, riferimento o anche solo un rapido accenno.
Apre il corteo di questo numero Galileo Galilei. Per Lacan è fondamentale il suo apporto perché è nel suo nome che viene individuato quel taglio epistemologico che permette l’emergenza della scienza moderna, condizione sine qua non per la nascita della psicoanalisi.
Poeti come Andrea Zanzotto e uomini di teatro come Carmelo Bene sono qui presi nel loro incontro o incontro mancato con Lacan. Incontro che si è avverato con quelle opere di grandi artisti in cui egli ha trovato un riscontro della sua ricerca, opere e autori che lo hanno ispirato e, diciamolo pure, deliziato. Tra questi mettiamo sicuramente il regista forse da lui più apprezzato, Federico Fellini.
Caravaggio, Bernini, Zucchi, Raffaello sono trattati nell’intervista che ha concesso Claudio Strinati. Sì, anche Raffaello, al quale Lacan si riferisce via la Dora di Freud a causa della Madonna Sistina. Da parte sua Clovis Whitfield, celebre studioso del Caravaggio, in una breve intervista precisa inoltre la differenza tra la realtà e il reale caravaggeschi.
La lista di artisti trattata è però ben più numerosa. Il lettore si delizierà a ritrovare le opere amate da Lacan, e, a volte, di scoprire alcune sviste, come quella che fa attribuire al Tiziano un quadro del Veronese.
Nel numero della rivista seguono dei lavori sul Seminario XIX. … ou pire di Lacan da parte di alcuni professori e docenti dell’Università della Calabria.
La puntualizzazione di J.-A. Miller sul Nostro soggetto sapere e la traduzione di un intervento di Lacan su “France Culture” coronano brillantemente questo numero 70 de La Psicoanalisi.

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Il deserto della verità

Il deserto della verità

Il deserto della verità è un titolo che indica una posizione della psicoanalisi che Lacan ha isolato per la prima volta. Per Freud la verità psicoanalitica è la verità del desiderio inconscio, imprigionata nei sintomi, mascherata nel fantasma. Non è mai una verità dei fatti, né una verità celestiale.
Lacan inizialmente ha non solo fatto propria la posizione freudiana ma l’ha amplificata. In una conferenza è giunto a dire, in una Vienna tanto sbalordita quanto era stata distratta, che la verità nella psicoanalisi si annuncia con “Io, la verità, parlo”, è lei che parla, in prima persona, nessuno se ne può fare il rappresentante. Era la radicalizzazione del legame tra la verità e la parola, la verità che dice all’insaputa del soggetto, che, rivelandosi in un lampo, sorprende ed in tal modo ha degli effetti. In attesa di venir riconosciuta dal buon intenditore psicoanalista.

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Seconda persona

Seconda persona

Esitare, incespicare sulle proprie parole, riprenderle e ricominciare. Dire una parola per un’altra, interrompersi e tacere, oppure correggersi, riavviare il discorso e bloccarsi all’intoppo successivo. Parlare è faticoso: è colmare lacune che affiorano nell’esercizio quotidiano del gesto verbale. Eppure si parla, anche fluentemente. E parlare è sentirsi parlare: magari «si può non farci attenzione, ma è certo che si ode il suono delle proprie parole». Così affermava Lacan, e con Lacan tutti gli autori che si sono misurati con quest’aspetto dell’attività di linguaggio. Diversi per tradizione e sensibilità, studiosi di enunciazione, psicoanalisti e scienziati cognitivi hanno identificato la presenza di una «funzione muta del linguaggio» nella figura stessa del parlante. Da taluni chiamata «auto-ricezione», da altri «auto-ascolto» o «intesa silenziosa», questa funzione è sincronicamente operante nel gesto verbale, è il rimedio provvisorio che il parlare procaccia alle proprie lacune: se vi è un margine di ripresa in ciò che fa buco nel discorso, lo si deve alla funzione muta del linguaggio.

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Il difetto

Il difetto

Questo libro nasce da una concreta pratica psicoanalitica con i giovani, che spinge l’autore a valorizzare la differenza tra l’adolescenza come aspetto sociale e le risultanze di una clinica illuminata dall’opera di Freud e di Lacan.
Ne Il disagio della civiltà Freud sottolinea uno dei temi chiave oggetto della riflessione del presente lavoro: la funzione dei «riti di pubertà e di iniziazione» con i quali la società veniva incontro al complesso processo di distacco dalla famiglia da parte degli adolescenti. Per Lacan, invece, l’adolescenza può essere definita come «il tempo necessario […] in funzione del legame da stabilire tra la maturazione dell’oggetto a […] e l’età della pubertà». L’intreccio fra queste due coordinate viene illustrato da brevi flash clinici tratti dall’esperienza professionale di Mormile, ma anche da un’analisi di testi cinematografici e letterari, utilizzati come introduzione al velo che circonda l’enigma della sessualità nella contingenza dell’iniziazione sessuale e della perdita dell’oggetto materno nella pubertà.

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Bipolare

Bipolare?

Cos’hanno in comune l’Apollo e Dafne del Bernini, i film di Antonioni – ma anche di Fellini, Hitchcock e Scorsese –, le arie di Monteverdi e di Dvořák, gli scritti di Baudelaire – ma anche di Marguerite Duras, Flaubert, Dante… – e la vita dell’attrice Vivien Leigh?
Li lega, con raffinata inventiva, il percorso di riflessione e analisi che Roberto Cavasola compie attorno al disturbo bipolare, con l’intento di dimostrare la necessità di una clinica differenziale e l’esigenza di recuperare la categoria diagnostica della psicosi maniaco depressiva. Con il sussidio di una ricchissima letteratura – che ha il suo centro in Jacques Lacan, ma spazia tra Freud, Jacques-Alain Miller, Serge Cottet, Colette Soler, Geneviève Morel e parecchi altri studiosi –, l’autore guida il lettore in un appassionante viaggio nella psicoanalisi e nella psichiatria contemporanea.

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La Psicoanalisi n. 66 – L’inconscio e il cervello: niente in comune

Sulla conferenza di Lacan al Grande Oriente di Francia
Lacan, il 25 aprile 1969, tenne una conferenza al Grande Oriente di Francia.[1] E di che parla?
Credo che l’assemblea dei Frammassoni francesi sia rimasta di stucco come qualche anno prima l’assemblea dei Cattolici riuniti a Bruxelles: Lacan parla della sua versione dell'”ama il prossimo tuo come te stesso”, come conclusione – conclusione anche politica – dell’esperienza analitica.
Ai Frammassoni dice: “Egli [il soggetto] si soddisfa di questo vuoto [prodotto dall’operazione analitica] dove può amare il prossimo suo, poiché è là che trova questo vuoto come se stesso, e che può amarlo solo così”.

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