“Se riusciste veramente a leggere quello che c’è in questa messa in piano del nodo borromeo, penso che vi avrei dato qualcosa che potrebbe esservi altrettanto utile quanto la semplice distinzione tra reale, simbolico e immaginario”. Traggo questa citazione di Lacan dal suo testo La terza, pubblicato nel presente volume.
Con le tre categorie non freudiane – del reale, del simbolico e dell’immaginario – Lacan ha dato una chiave di lettura chiara per leggere il materiale addotto dalla clinica freudiana e uno strumento efficace all’analista perché sappia occupare il posto da cui operare. E da qui è stato possibile, a quegli psicoanalisti che hanno fatto tesoro di questo insegnamento, di saper distinguere l’io in quanto funzione immaginaria (le moi) dall’io in quanto funzione simbolica (le je); di riconsiderare la clinica della psicosi non già sotto la rubrica del deficit ma alla luce di una mancanza simbolica chiamata da Lacan forclusione (forclusion) del nome del padre; di assegnare allo psicoanalista un luogo da cui operare che è radicalmente asimmetrico rispetto alle varie relazioni o rapporti, le cui conseguenze, amorose o controtransferali, hanno il solo potere di far arrestare la cura anche quando la serie delle sedute continua.