Il deserto della verità è un titolo che indica una posizione della psicoanalisi che Lacan ha isolato per la prima volta. Per Freud la verità psicoanalitica è la verità del desiderio inconscio, imprigionata nei sintomi, mascherata nel fantasma. Non è mai una verità dei fatti, né una verità celestiale.
Lacan inizialmente ha non solo fatto propria la posizione freudiana ma l’ha amplificata. In una conferenza è giunto a dire, in una Vienna tanto sbalordita quanto era stata distratta, che la verità nella psicoanalisi si annuncia con “Io, la verità, parlo”, è lei che parla, in prima persona, nessuno se ne può fare il rappresentante. Era la radicalizzazione del legame tra la verità e la parola, la verità che dice all’insaputa del soggetto, che, rivelandosi in un lampo, sorprende ed in tal modo ha degli effetti. In attesa di venir riconosciuta dal buon intenditore psicoanalista.
Esitare, incespicare sulle proprie parole, riprenderle e ricominciare. Dire una parola per un’altra, interrompersi e tacere, oppure correggersi, riavviare il discorso e bloccarsi all’intoppo successivo. Parlare è faticoso: è colmare lacune che affiorano nell’esercizio quotidiano del gesto verbale. Eppure si parla, anche fluentemente. E parlare è sentirsi parlare: magari «si può non farci attenzione, ma è certo che si ode il suono delle proprie parole». Così affermava Lacan, e con Lacan tutti gli autori che si sono misurati con quest’aspetto dell’attività di linguaggio. Diversi per tradizione e sensibilità, studiosi di enunciazione, psicoanalisti e scienziati cognitivi hanno identificato la presenza di una «funzione muta del linguaggio» nella figura stessa del parlante. Da taluni chiamata «auto-ricezione», da altri «auto-ascolto» o «intesa silenziosa», questa funzione è sincronicamente operante nel gesto verbale, è il rimedio provvisorio che il parlare procaccia alle proprie lacune: se vi è un margine di ripresa in ciò che fa buco nel discorso, lo si deve alla funzione muta del linguaggio.
Questo libro nasce da una concreta pratica psicoanalitica con i giovani, che spinge l’autore a valorizzare la differenza tra l’adolescenza come aspetto sociale e le risultanze di una clinica illuminata dall’opera di Freud e di Lacan.
Ne Il disagio della civiltà Freud sottolinea uno dei temi chiave oggetto della riflessione del presente lavoro: la funzione dei «riti di pubertà e di iniziazione» con i quali la società veniva incontro al complesso processo di distacco dalla famiglia da parte degli adolescenti. Per Lacan, invece, l’adolescenza può essere definita come «il tempo necessario […] in funzione del legame da stabilire tra la maturazione dell’oggetto a […] e l’età della pubertà». L’intreccio fra queste due coordinate viene illustrato da brevi flash clinici tratti dall’esperienza professionale di Mormile, ma anche da un’analisi di testi cinematografici e letterari, utilizzati come introduzione al velo che circonda l’enigma della sessualità nella contingenza dell’iniziazione sessuale e della perdita dell’oggetto materno nella pubertà.
Cos’hanno in comune l’Apollo e Dafne del Bernini, i film di Antonioni – ma anche di Fellini, Hitchcock e Scorsese –, le arie di Monteverdi e di Dvořák, gli scritti di Baudelaire – ma anche di Marguerite Duras, Flaubert, Dante… – e la vita dell’attrice Vivien Leigh?
Li lega, con raffinata inventiva, il percorso di riflessione e analisi che Roberto Cavasola compie attorno al disturbo bipolare, con l’intento di dimostrare la necessità di una clinica differenziale e l’esigenza di recuperare la categoria diagnostica della psicosi maniaco depressiva. Con il sussidio di una ricchissima letteratura – che ha il suo centro in Jacques Lacan, ma spazia tra Freud, Jacques-Alain Miller, Serge Cottet, Colette Soler, Geneviève Morel e parecchi altri studiosi –, l’autore guida il lettore in un appassionante viaggio nella psicoanalisi e nella psichiatria contemporanea.
Un testo di grande importanza che rappresenta una bussola clinica.
Il libro è suddiviso in una prima parte teorica, in una seconda di casi clinici e in una parte centrale di trascrizione di un colloquio clinico di Jacques-Alain Miller seguita da una ricchissima discussione clinica.
Il bambino rappresenta oggi un meraviglioso ideale. Quando però non soddisfa più le aspettative dei genitori, crea problemi.
Le tecniche comportamentali riducono il sintomo a una disfunzione, mentre la psicoanalisi gli attribuisce una dimensione di verità e lo recepisce come una manifestazione dell’inconscio. Cos’è l’inconscio del bambino? Cosa ci dice sul posto del bambino all’interno della sua famiglia?
Lo psicoanalista invit
Perché le cose fra uomini e donne sono così complesse? Il nostro tempo ce ne parla più che mai.
In questo volume si affronta il problema a partire dalla tavola rotonda La voce e il suo mistero con Romeo Castellucci, Piersandra Di Matteo, Marie-Hélène Brousse, Antonio Di Ciaccia. Rappresentanti di eccellenza del teatro contemporaneo che, in un serrato simposio, trattano con analisti di un tema, oggetto prezioso e fondamentale per la clinica lacaniana.
Al commento al Seminario XX. Ancora di J. Lacan seguono le cinque magistrali lezioni tenute da A. Di Ciaccia, S. Cottet, M.-H. Brousse, P. Monribot, C. Menghi.
Se una passione ci prende, ci afferra, è perché siamo appassionati da qualcosa. Ma da cosa esattamente? Ecco il punto. Un fondamentale nodo soggettivo lega e stringe gli affetti all’inconscio e ai destini della pulsione. E il suo avvicinamento, la sua esplorazione, la sua riformulazione nello svolgimento dell’esperienza analitica è quanto costituisce il tema centrale del libro.
Dalla vergogna alla colpa, dall’amore all’odio, dal malumore alla tristezza e altri ancora, senza dimenticare il luogo cruciale dell’angoscia: è nel variegato campo degli affetti che Lacan introduce il concetto di passione, smarcandosi al tempo stesso da quello di emozione.
Il titolo, Logica della vita quotidiana, evoca necessariamente il titolo del libro di Freud, Psicopatologia della vita quotidiana. Dalla psicopatologia alla logica, quindi. Ambedue riguardano quella che possiamo chiamare la vita dei normali esseri umani. Quello di Freud è stato, da sempre, il suo libro più letto. Ognuno poteva individuare qualcosa che lo riguardava personalmente, senza per questo ritrovarsi in una categoria diagnostica: vita quotidiana, appunto. Per Freud si trattava di un’opera divulgativa, per cui poteva considerarsi giustificato nel presentarla come un’incompleta trattazione teorica.
È possibile costituire un discorso che non abbia origine dal sembiante ma dal reale? È la questione interrogata da Lacan nel Seminario XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante, di cui questo volume – il IV della Collana – riunisce le lezioni di commento al testo che si sono tenute all’Antenna di Rimini, nell’anno accademico 2010/2011.
Il Seminario XVIII, del 1971, rappresenta, nell’insegnamento di Lacan, uno di quei momenti particolarmente fecondi e fondativi, in quanto la ricerca in cui Lacan avanza, in quell’anno – sia riguardo alla questione della singolarità del godimento femminile rispetto a quello maschile, che alla funzione della scrittura, di cui evidenzia la differenza rispetto alla parola e al linguaggio – precede e prepara la svolta che troverà il suo punto di conclusione logica, due anni dopo, nel Seminario XX, Ancora, con la scrittura delle formule della sessuazione.