Eric Laurent

La conquista contemporanea dell’opinione dipende sempre di più dalla coerenza della storia che rappresenta una tesi attraverso la molteplicità dei media e l’enumerazione dei fatti che si selezionano per sostenerla.
La campagna di stampa preparata da professionisti per sostenere la tesi di un insieme di associazioni di genitori di autisti racconta una storia. Essa fa la caricatura della psicoanalisi per proporre le sole terapie comportamentali come soluzione adatta all’autismo nel suo insieme e su tutta l’estensione del suo spettro. L’epicentro della storia è la Francia o meglio, la Francia e il Belgio, ma questa storia deve essere pensata globalmente.
Riassumiamo. Attraverso procedure che consistono nell’ingannare la buona fede, una sedicente documentarista riduce la diversità delle posizioni degli psicoanalisti interrogati ad una tesi ridicola: la causa dell’autismo è una colpa genitoriale, specialmente della madre. La riduzione sul letto di Procuste viene stabilita con amalgami e distorsioni. Una volta stabilita la tesi, l’onore dei genitori incriminati, colpevolizzati, può essere salvato solo dalla denuncia più feroce di un tale approccio. A tale scopo tutto può essere messo in gioco e snaturato per sostenere la causa.
L’operazione è messa al riparo tramite il ricorso alla scienza che affermerebbe di poter rendere conto dell’insieme dei fenomeni attraverso una stretta considerazione biologica, senza tener conto della relazione che mantiene il soggetto al mondo, facendo leva sull’apparenza che certi fenomeni autistici possono far pensare a proposito di un simile taglio netto. Tuttavia il dramma di salute pubblica posto da questi soggetti mette in primo piano l’accoglienza di questi sintomi in un discorso. Anche se si spiega il sorprendente accrescimento del numero di casi attraverso artefatti statistici, occorre spiegare perché lo sguardo clinico svela meglio questi sintomi. Di più, è il solo “disturbo” psichico in cui la metafora della riduzione del disturbo ad un “disequilibrio chimico”, come nella depressione, viene rifiutato.
Le crisi di agitazione, d’angoscia, di ripiegamento, possono essere stimolate o temperate da terapie mediche appropriate, nessuno afferma di toccarne le cause. Da qui le speranze riposte nella causa genetica. Per ora nessuna terapia medica specifica è proposta. Cosa fare allora?
Alcuni pioneri, ispirati alla psicoanalisi, proponevano negli anni sessanta, in diverse istituzioni, un approccio che mescolasse metodi relazionali, giochi, attività e apprendimento. Le istituzioni e i loro mix terapeutici si indirizzavano ad ogni sorta di patologie. Nel 1987, Ivan Lovaas, in un articolo interessante, propose di centrarsi su un metodo di ripetizione intensiva dei comportamenti semplici, e di riservarlo agli autisti. Esso verrà fortemente strutturato dall’approccio di ricompensa-punizione. Fu chiamato Analisi del comportamento applicato. In inglese, Applied Behavior Analysis (ABA). Nessun riferimento alla cognizione. Il metodo ha incontrato negli USA un successo all’altezza del prestigio riconosciuto, in questa area culturale,  all’approccio comportamentale. Tuttavia, le obiezioni non sono mancate, e non solo da parte degli psicoanalisti, contro l’estensione dei metodi comportamentali nel loro riduzionismo portato all’estensione dello “ spettro dei disturbi autistici”. Le obiezioni furono etiche, tecniche ed economiche.
La finzione nella quale s’inscrive il libello “Il Muro” sostiene che le molteplici questione poste dal trattamento dell’autismo si riducono da una parte all’affrontamento tra psicoanalisi e terapie comportamentali, e dall’altra parte tra la Francia, paese del passato, e gli Stati Uniti, paese del futuro. In Francia, la psicoanalisi farebbe ancora da ostacolo alla scienza e negli Stati Uniti le terapie cognitivo comportamentali sarebbero riconosciute unanimemente come il trattamento di riferimento. Si tratta di una finzione bifocale, ma falsa per ciascuno di questi fuochi.
In Francia, i trattamenti dei soggetti autisti, ispirati dalla psicoanalisi, tengono conto degli avanzamenti della scienza, utilizzano i farmaci adeguati, raccomandano l’inscrizione dei bambini nelle istituzioni che loro convengono meglio, in una scuola  dove si possa adattare l’apprendimento secondo la disponibilità. Tali trattamenti si accordano sulla necessità di interpellare con continuità questi soggetti. C’è qualcosa da dire a loro, senza tuttavia parlare di “intensità”. Essi mettono l’accento su un approccio relazionale, a partire dai segni d’interesse manifestati dal bambino. Non una stimolazione-ripetizione per tutti, ma una sollecitazione su misura, un approccio bottom up, e non top-down. Le istituzioni dove un tale approccio è possibile sono troppo poco numerose in Francia. Tale rarità non va nel senso di un sedicente “dominio ideologico” rimproverato alla psicoanalisi. E’ questa la ragione per cui un numero notevole di bambini francesi viene inviato in Belgio dove questo tipo di istituzioni possono accoglierli. Le autorità di tutela considerano che esse danno risultati che le collocano al rango delle migliori della disciplina. Esse vengono finanziate dall’equivalente della previdenza sociale.
Negli USA, i trattamenti comportamentali incontrano obiezioni e limiti: etici, economici e legali. L’obiezione etica concerne il numero e l’intensità delle punizioni da esercitare per forzare l’isolamento del soggetto. Qual è il giusto prezzo dell’innesto di un comportamento ripetitivo su un soggetto così ripiegato su se stesso? Alcuni praticanti del metodo ABA hanno potuto cristallizzare delle lamentele per “comportamenti non etici” verso alcuni bambini. Fin dove è possibile trasformare i genitori in educatori intensivi dei loro bambini? Certi lo hanno fatto fin all’esaurimento, provocando una sorta di burn-out genitoriale.
In Canada, paese molto sensibile alla protezione delle comunità, l’obiezione è arrivata al punto di considerare l’imposizione di questi comportamenti come un attentato ai diritti del soggetto autistico come tale. Bisogna partire dall’autismo per concepire apprendimenti appropriati e non imporre apprendimenti semplicemente ripetitivi. Tra le due posizioni radicali, gli USA e il Canada presentano tutta una serie di approcci misti che auspicano di allontanarsi da tecniche rigide, assimilabili ad un ammaestramento, per sollecitare le particolarità del bambino nell’estensione dello spettro degli autismi. Negli USA, le tecniche ABA sono piuttosto considerate come il passato.
L’obiezione è anche economica. Mentre i risultati dell’apprendimento intensivo si mantengono male al di là dello stretto quadro nel quale sono amministrati, il metodo suppone un educatore individuale a tempo pieno. Un trattamento standard è quindi stato valutato in 60000 dollari all’anno. Le associazioni dei genitori conquistate da tali metodi hanno cercato di farli rimborsare dagli Stati che, negli USA, sono già carichi di spese sanitarie. Sollecitata in tal senso, la California ha rifiutato questo rimborso, ed anche l’Ontario in Canada.
La fiction de “Il Muro”, con le sue semplificazioni polemiche, fa dimenticare la pluralità dei punti di vista che la complessità dell’autismo produce. Questa pluralità la si ritrova nei commenti che il libello ha provocato. Lo stesso giorno, il quotidiano “Le Monde” e il suo supplemento erano su due lunghezze d’onda molto diverse, senza parlare di altri giornali. La realizzatrice del “Muro” evocava la simpatia dei giornalisti verso una dei loro, che si presentava come vittima di censura. Essa si presentava anche come documentarista, benchè sia una vocazione tardiva, ed anche come una delusa studente in psicoanalisi. Essa era in tutti i posti.
Nel “Supplemento di Le Monde”, una giornalista, che fino ad allora non si era occupata di questioni di salute mentale, è stata sedotta dalla tesi del libello. Niente della psicoanalisi trova più grazia presso di lei, e quando uno degli intervistati del film le dice esattamente le tesi che difende, lei lo trova di una “attitudine arrogante”. Nel giornale invece, Catherine Vincent, più agguerrita, fa riferimento alla pluralità degli approcci, all’ “appello dei 39” e sostiene un necessario eclettismo. Nell’ “Herald Tribune” un articolo riprende la storiella Francia-USA e s’inscrive nella fiction proposta. Nel frattempo, la parte americana della storia si andava precisando e la realizzatrice annunciava la sua presenza a Philadelfia al congresso ABA, giovedì 26 gennaio, dove essa auspicava di presentare il suo film, dopo un passaggio a New-York. Si può dubitare che il suo metodo possa convincere al di là degli adepti del “French bashing”. Negli USA, la differenza di opinioni è troppo radicata. Il giudizio reso dal Tribunale constata le cattive procedure utilizzate dai partigiani di una causa che appare loro buona e che giustificava qualsiasi mezzo. L’invocazione di Michael Moore da parte dell’avvocato della realizzatrice e della società di produzione, durante la loro dichiarazione di procedere in appello, non fa che rinviare alla fiction Francia-USA. Come primo saggio documentarista della nostra polemista, la maschera è un po’ pesante da portare.

(Traduzione di Maurizio Mazzotti)

 

[1]Psicoanalista membro dell’Ecole de la Cause Freudienne (ECF), ex presidente dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi (AMP).