Postumano
n. 63-64 gennaio-dicembre 2018
JACQUES LACAN – Conferenza a Lovanio
JACQUES-ALAIN MILLER – Al di qua dell’inconscio
Il volume presenta articoli di: Fulvio Sorge, Gabriele Grisolia, Luisella Brusa, Antonio Di Ciaccia, Fabio Ciaramelli, Giovanni De Renzis, Gabriele Frasca, Gaetano Cantone, Jacques-Alain Miller, Sergio Sabbatini, Nathalie Charraud, Raffaele De Luca Picione, Anna Castallo, Carmine Mangano, Dario Alparone, Amelia Barbui, Luisella Mambrini.
Nota editoriale
Lacan a Lovanio.
13 ottobre 1972, Università Cattolica di Lovanio. La Grande Rotonde, l’Aula Magna dell’Alma Mater, era gremita. Per l’occasione Lacan dà prova di una grande maestria, nonostante un imprevisto che avrebbe potuto turbare lo svolgimento dell’incontro e che invece Lacan seppe utilizzare a fini strettamente analitici. Senza dubbio molti lettori hanno visto questa conferenza poiché venne ripresa dalla televisione belga, il cui filmato finirà poi su Internet.
All’epoca Lacan era venuto più volte in Belgio. A Lovanio, in primis, dove l’Università si era fatta apprezzare, tra l’altro, per due importanti indirizzi, uno in teologia, essendo stata la sede di quel rinnovamento che porta il nome di neotomismo, l’altro in filosofia, dove la fenomenologia aveva un campo fertile dopo che Herman van Breda era riuscito a portarvi dalla Germania gli scritti di Husserl, salvandoli così dalla distruzione della guerra.
Certamente per Lacan c’era un altro motivo per venire in Belgio, per lui molto più impellente. A partire dalla sua Proposta dove aveva instaurato la passe, Lacan si era trovato in Francia a fronteggiare una sorta di fronda, capeggiata da Piera Aulagnier, Valabrega e Perrier, che avevano costituito nel 1969 il cosiddetto Quatrième groupe . L’Ecole belge de psychanalyse, pur essendo autonoma, si trovava in quel momento in una specie di via di mezzo tra l’adesione alle tesi del nuovo gruppo psicoanalitico e la fedeltà alle tesi promosse da Lacan nell’Ecole freudienne. Le cose si chiariranno solo qualche anno dopo al momento della dissolution dell’Ecole freudienne. Solo un numero ristretto di membri dell’Ecole belge seguirà infatti la strada indicata da Lacan per approdare all’Ecole de la Cause freudienne, la nuova Scuola istituita da Jacques-Alain Miller e adottata da Lacan.
Il giorno del suo intervento alla Grande Rotonde, io mi trovavo, per utilizzare l’espressione di Lacan, “in periferia”, ossia sui gradini più alti dell’Aula Magna, e solo nell’ après-coup mi resi conto dello sforzo che Lacan aveva dovuto fare per cercare di mantenere vivo, in Belgio, il suo insegnamento. L’incontro di cui stiamo parlando è forse, di tutti questi momenti, il più importante.
Come ricorda egli stesso, Lacan non aveva preparato il suo intervento. Prima della conferenza si era intrattenuto per diverse ore con una trentina di noi giovani e aveva cercato di comprendere in questo incontro quale sarebbe stato il suo uditorio.
Come possiamo notare in situazioni simili, anche in questo caso Lacan inizia presentando il suo insegnamento in modo piuttosto semplice e in uno stile colloquiale. Egli non si accinge a presentare un compendio, ma, direi, illustra i punti salienti del suo insegnamento in funzione del suo uditorio. Anche in questa occasione Lacan ricorre a questa sua modalità. Dopo aver nominato i suoi ospiti, ambedue membri anche della sua Scuola, il professor Jacques Schotte, illustre fenomenologo, e il professor Antoon Vergote, punto di riferimento della psicologia religiosa, Lacan parte dalla comunicazione. La comunicazione fa ridere, dice. Proprio come quella comunicazione di cui parla altrove, a partire dal grafo, tra la madre e il bambino che ride. Cosa che gli permette di andare al di là.
Dopo un breve accenno ai suoi anni di insegnamento, Lacan precisa alcuni aspetti che chiamerei di politica psicoanalitica.
Meraviglia una sua prima affermazione: se lo si accusa di fare una psicoanalisi intellettualista il motivo risiederebbe nell’essere andato via dalla cosiddetta società psicoanalitica internazionale. E qui, egli rivela un pezzo di storia sconosciuta ai più: non era stata sua intenzione di andarsene, ma si era trovato a seguire un movimento in cui una persona – sicuramente, senza nominarlo, fa riferimento a Daniel Lagache, analista e universitario, e per lungo tempo suo grande amico – senza troppa considerazione aveva optato per dare delle dimissioni dall’Internazionale freudiana, sebbene qualche tempo dopo, in fretta e furia vi avesse fatto ritorno. Per contro non vi fece ritorno Lacan, il quale, nel suo intervento di Lovanio almeno, trova parole amichevoli per qualcuno che, altrove, dice di aver gaché, danneggiato, la psicoanalisi.
Dopo questo richiamo di natura politica, sicuramente indirizzato ai suoi ospiti, Lacan riprende la tematica della psicoanalisi. La psicoanalisi è un discorso e, in quanto tale, e uno dei legami sociali, come egli aveva ampiamente illustrato qualche anno prima nel seminario Il rovescio della psicoanalisi. È un pleonasmo dire che l’essere umano è un essere parlante, poiché è per il fatto di parlare che egli si crede di essere. Inoltre, proprio perché abita il linguaggio, anche quando è solo, continua a parlare. Insomma, non è mai solo, anche quando vive in solitario. E non è che egli pensa con il linguaggio, ma è il linguaggio che pensa con il suo corpo di vivente, contrariamente a quanto affermava Aristotele per il quale si pensa con la propria anima. E se ci sono altri animali sociali non lo sono a causa del linguaggio ma a causa di qualcosa che chiamiamo istinto.
Riprendendo i suoi quattro discorsi, Lacan indica il cambiamento che vi si sono operati. Si parte dal discorso del dominus, il quale ha un potere ma non ha bisogno di sapere nulla. Quando invece il sapere ha avuto accesso al potere, allora è avvenuta una vera e propria rivoluzione. Lacan si dilunga su questo discorso poiché è quello dominante in tutti coloro che lo stavano ascoltando e che, volenti o nolenti, si aspettano qualcosa dal potere che viene dal fatto che il sapere occupa il posto dominante. Il sapere che si è dato il potere è affare del magister, del pedagogo, del pedante, o dello schiavo antico o del servo hegeliano. Ora costoro abitano le università, la magistratura, altrove, egli la dice, la burocrazia.
Ma la cosa non si è fermata lì. E Lacan ricorda che almeno una persona, ossia lui stesso, ci aveva messo uno zampino perché la cosa non si fermasse e continuasse a girare dato che ci sono dei piccoli segni che la cosa non continua più a funzionare tanto bene. Come si vede egli punta a introdurre il discorso analitico. E lo introduce non già a partire dal sapere, ma a partire dalla vita e dalla morte. Non già però dalla vita e dalla morte come semplici concetti, poiché concerne qualcosa che gode o che soffre, e che ha un corpo.
Tutto questo sembrerebbe bastare, ma non basta. Perché bisogna fare ritorno al sapere, a quel sapere che ci governa e che resta completamente in sospeso. Sapere che non è scienza, ma è un sapere che si trasmette tuttavia tramite la parola. Questo sapere provoca verso colui che è supposto esserne il riferimento un vero amore, e non già un amore di seconda mano. Eppure anche costui, o meglio costoro, ossia gli psicoanalisti, possono credere di non saperne niente, ma qui si sbagliano dato che ne sanno qualcosa, solo che, proprio come per l’inconscio di cui è l’esatta definizione, non sanno che lo sanno.
In gioco, si tratta quindi del sapere, ma un sapere diverso da quello hegeliano che è senza faglia e che serve a giocare a rimpiattino tra il signore e il servo.
A questo punto, come è avvenuto all’inizio della psicoanalisi, un altro personaggio entra in scena. L’isterica. È lei a indicare, di nuovo, la direzione. Come a Freud aveva indicato la via del senso. Ora l’isterica indica un’altra via, guidata com’è dal filo d’oro del godimento. È decifrando questa via che Lacan, Freud alla mano, arriva a forgiare l’oggetto a.
Le successive riflessioni di Lacan precisano in che cosa ogni comportamento umano è una difesa contro il godimento, il quale, una volta desertificato il corpo, rimane comunque ancorato ai suoi bordi.
Ora, è proprio il godimento come supporto che spinge Freud a elaborare la teoria dell’energia sul modo della fisica moderna. Percorso che Lacan non disdegna affatto sebbene in questo suo intervento non utilizzi il termine che aveva pronunciato, poche volte a dire il vero, qualche anno prima: entropia. Non potrebbe essere l’entropia una tappa ineludibile nella demitizzazione della psicoanalisi?
Dopo la ripresa che Lacan fa dell’ Ich freudiano e della Spaltung e le sue riflessioni sul linguaggio, la conferenza di Lacan è interrotta platealmente da un giovane.
Lacan tutto sommato non si scompone e si mette a dialogare con lui. L’uditorio si trova, così, senza preavviso, in uno scenario diverso, che Lacan orienta in modo tale che agli astanti sembra essere a una delle sue presentazione di malati. Il rispetto di Lacan verso il giovane è assoluto. Puntualizza tuttavia il suo discorso facendo emergere i punti salienti.
E da lì impartisce una lezione di clinica psicoanalitica rispetto alle diverse strutture e constata che in fondo si tratta di giostrare tra due modalità di delirio, una che punto alla Gesuralemme celeste e l’altra alla realizzazione del discorso della scienza, cosa di cui, Lacan non fa, qui come altre, che indicarne, al di là dei pregi, i gravi pericoli che esso comporta.
Nello status quaestionis di questo disagio della civiltà, che andrà sempre più accentuandosi, Lacan ricorda tuttavia che si è inaugurato qualcosa che si definisce tramite la funzione dell’analista. “Un analista è colui che si può permettere, che osa permettersi di mettersi rispetto al soggetto – al soggetto effettivamente più o meno impazzito da quella straordinaria condizione umana di abitare il linguaggio – in posizione di causa del desiderio”.
Questo numero de La Psicoanalisi riporta, tra l’altro, gli interventi del Convegno sul Postumano organizzato dai nostri Colleghi di Napoli.