La primavera della psicoanalisi.

Gli psicoanalisti nella città

n. 33 – gennaio-giugno 2003

JACQUES LACAN………………..Nota sul padre e l’universalismo
JACQUES-ALAIN MILLER…..Intervento al Convegno La primavera della psicoanalisi
ROSA ELENA MANZETTI…….L’avvenire della clinica psicoanalitica
PIER ALDO ROVATTI…………..La psicoanalisi e l’abitare la distanza
DOMENICO COSENZA…………La dialettica disincanto/risveglio in psicoanalisi: Lacan e l’eredità dei lumi
ANTONIO DI CIACCIA…………L’etica nell’era della globalizzazione
VIRGINIO BAIO……………………Introduzione all’intervento di J.-A. Miller.
JEAN-LOUIS GAULT…………….La concezione psicoanalitica del sintomo

E articoli di: MAURIZIO MAZZOTTI, GENNIE LEMOINE, MARIE-HÉLÈNE BROUSSE, PAOLA FRANCESCONI, CARLO VIGANÒ, SALVATORE FRENI, GIOVANNI CARLO ZAPPAROLI, MARCO FOCCHI, EUGENIO GABURRI, MASSIMO RECALCATI, GIULIANA KANTZÀ, ALBERTO TUROLLA, GIOVANNI BOTTIROLI, ADRIANO VOLTOLIN, ERMINIA MACOLA

 

Nota editoriale
Gli psicoanalisti e la città

Uno psicoanalista accoglie la parola sofferente di un soggetto che la contingenza ha fatto incontrare con lui. Il legame che ne nasce è di un tipo nuovo tra quelli che si sono costituiti storicamente nella società umana: un legame in cui, di principio, si parla a qualcuno senza vincoli o restrizioni di sorta, dicendo “quel che viene in mente”, senza censura. Che poi, in analisi, si faccia esperienza della difficoltà ad attenersi a questo principio di “libera associazione”, non inficia ma ribadisce l’orientamento impresso dal principio suddetto. Il vettore dominante l’esperienza analitica spinge la parola in questa dimensione originale, entro la quale l’analizzante si inoltra e di cui l’analista si fa il garante. Egli quindi accoglie una parola marcata sempre più dall’intimo di una storia, dal sogno, dalla fantasia, in particolare quella che è più difficile confessare, celata dal velo della vergogna. Se l’analista è “scriba”, come diceva Lacan negli anni ’50, egli lo è di ciò che altrimenti non avrebbe diritto di cittadinanza, perché non adatto a entrare nella circolazione della comunicazione sociale, o perché lo si riterrebbe inutile, o perché non conveniente. Egli è quindi lo scriba di ciò che nella parola è scarto della consuetudine sociale dominante e, di conseguenza, la sua posizione di psicoanalista è marcata da un certo grado di esteriorità rispetto a tale consuetudine. Come diceva Lacan, la psicoanalisi è il “rovescio” del discorso dominante, il “discorso del padrone”, è un modo nuovo di parlare a qualcuno e di ascoltare ciò che qualcuno dice di sé, un modo a rovescio di quel che è operante nella vita di tutti giorni per ciascuno di noi. Jacques- Alain Miller diceva recentemente che è una parentesi, che ogni seduta di analisi è una parentesi nel flusso insistente e sistematico dell’operatività dominante in cui ciascuno è inserito, volente o nolente. Una parentesi in cui si decanta quel che è messo a lato dal discorso del padrone.

La portata veramente politica della psicoanalisi è quella che consegue alla sua stessa esistenza di legame sociale, cioè l’aver costituito da una pratica ‘marginale’, residuale, della parola umana, un nuovo legame sociale, che si è aggiunto a quelli già esistenti prima dell’invenzione freudiana. Un nuovo legame sociale che ora scandisce anche il rapporto di ciascun soggetto con gli altri discorsi esistenti, dal momento che si può entrare e uscire dal legame analitico, entrare e uscire dagli altri discorsi, e questo modifica i rapporti di ciascun soggetto con ciascuno di questi, non li lascia così come erano prima, quando questa ‘parentesi’ della psicoanalisi, offerta al soggetto parlante, non era iscritta nel campo sociale, nella città.

Gli psicoanalisti, interrogandosi sul loro rapporto con la città, interrogano quindi non solo altre forme del sapere, altri modi di affrontare la sofferenza umana, altre pratiche della salute mentale, ma anche l’incidenza politica e non solo clinica della loro azione.

E questo compito è quanto mai necessario per la psicoanalisi a venire.

Maurizio Mazzotti

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